Berlino, 13 novembre 1932
Mia cara Olga,
è solo dopo aspri e ripetuti conflitti interiori, che trovo il coraggio di scrivervi questa lettera. Se oso farlo, è solo perché sono sollevato dal pensiero che probabilmente non ci rivedremo mai più. Almeno in questa vita, sotto queste sembianze.
Sono tempi duri per i sentimenti di libertà in Germania e per l’umanità in generale. Come vi ho detto in confidenza, i miei programmi prevedono di lasciare la mia amata casa di campagna, il Kaiser Wilhelm e l’Accademia per trasferirmi da qui a breve nel New Jersey.
Mi lusingano oltremodo i vostri propositi di seguirmi, anche chiusa in un baule, come avete detto, facendomi ridere.
Mentre vi scrivo questa lettera il profumo della vostra acqua di colonia è ancora ovunque qui nel mio ufficio, e mi provoca una frizzante predisposizione alla gioia. Avete lasciato questo dipartimento già qualche ora fa ma è come se foste ancora qui accanto a me, con i vostri dubbi sulla fisica e il vostro sorriso che mi riconcilia con la vita.
Conosco il motivo delle vostre premure e delle vostre attenzioni. Ma voglio fare la stupidaggine di ignorarlo. Voglio credere che le vostre siano attenzioni sincere. Voglio credere che i vostri baci, seduta qui sulle mie ginocchia, siano stati sempre sinceri. Mio Dio quanto sono stati belli i vostri baci. Voglio credere alle vostre parole, alla vostra ammirazione per me. Voglio credere che sia tutto reale, perdermi così in una soave stupidità.
Perdonatemi. Non c’è niente di più patetico di un vecchio professore che si invaghisce di una sua giovane studentessa.
Ricorderò sempre l’assillo delle vostre domande sul tempo e sulla materia.
Non sono riuscito a vincere la vostra sfida. Cioè dimostrare che i pensieri, i sogni, le filosofie, i ricordi, non siano fatti essi stessi di materia. Anche se so che è così, è solo questione di riuscire a dimostrarlo. Ci ho provato più volte, vista la preziosa e ambita posta che avete messo in palio per me.
Il tempo che passa, averne studiato ogni minimo aspetto fino quasi a poterlo toccare mentre scorreva tra le mie dita, inarrestabile.
Il tempo.
Il tempo e la scienza.
A cosa servono i progressi della medicina, a cosa serve farci vivere sempre più a lungo, se dentro alla vita non sappiamo cosa metterci se non assilli, ansie, disillusioni, infelicità.
Quante energie impiegate a correre dietro al tempo, a misurarlo e a scomporlo. Quante lezioni appresso alle sue curvature, alle flessioni rispetto a questo o quell’elemento. Che noia mortale mia cara Olga. Dovrei odiare un’unità di misura che ha messo tra di noi più di trent’anni di duri mattoni, questa è la verità e non sarà quel millesimo di secondo in più o in meno a cambiare le cose.
Desistete dai vostri propositi di seguirmi. Vivete secondo il vostro tempo e guardate il mondo con il disprezzo della gioventù, amata gioventù.
Vi prometto che vi scriverò dall’America. Che vi farò un dono speciale. I dettagli di quello studio che avete sorpreso tra i miei appunti, e che voglio sperare teniate segreto, in nome di ciò che è stato, ed è, tra noi.
Vi aggiornerò sugli studi, ve lo prometto. Vorrei vedere l’azzurro strabiliante dei vostri occhi illuminarsi quando leggerete quali giochi con il tempo sono possibili. Ma è un gran segreto, ve lo dico fin d’ora. Non dovrete farne parola con nessuno, potrebbe andarne della vita delle persone.
Vi scriverò presto, non appena sarò arrivato e sistemato.
Sarà la prima cosa che farò.
Ma non prima di avere controllato dentro a tutti i bauli che mi porterò dietro!
Con rispettoso affetto,
Vostro
AE
Princetown, 22 dicembre 1932
Mia cara Olga,
come promesso (non avendoVi trovato nascosta in un baule e nemmeno tra gli studenti del college) sto per condividere con Voi gli appunti sulla mia teoria alla quale non ho ancora dato un nome. Potrebbe avere qualcosa a che fare con il fenomeno del disordine (da me già ampiamente, ma segretamente studiato). Devo ancora pensarci su. Sono costretto a metterVi in guardia sul fatto che queste teorie potranno sembrarvi singhiozzi scomposti di una mia senilità anticipata, ma confido nel Vostro intuito. E poi, cosa determinante, chiedeteVi cosa io ne avrei da guadagnare da questa singolare illustrazione.
Solo un aspetto mi lascia ancora un residuo di titubanza. Come sapete la mia teoria sull’esistenza delle onde gravitazionali è ben lontana dall’essere dimostrata. Chissà se e quando saranno inventati macchinari tanto sofisticati da poterne apprezzare il debole riverbero nello spazio infinito. Non ho passato, infatti, così tanti anni della mia vita solo per dimostrare l’esistenza di un eco. Ebbene questa teoria sul disordine non è che la sua conseguente applicazione pratica, che gli scienziati si guarderebbero bene dal rendere nota alla massa, perché potrebbe determinare conseguenze disastrose per l’umanità intera.
Per passare al dunque (uso un modo di dire a Voi tanto caro), decretata priva di ogni fondamento, la teoria secondo la quale i moti umani non costituiscano materia, si deve conseguentemente convenire che l’energia espressa dal pensiero umano eserciti sulla realtà, per quanto difficilmente apprezzabile, un influenza diversa da zero. In altri termini, una influenza pari a zero è possibile, ma con una vettore pari ad infinito, non dimostrabile scientificamente. Se potessimo procedere con la metodologia empirica, noteremmo che più è accurato il processo preliminare (non vi ho ancora parlato del processo preliminare?), tanto più il risultato dell’esperimento sarà efficace. Ma tant’è. Non ho abbastanza denari per permettermi di pagare i volontari all’esperimento (una volta era sufficiente l’onore di aver contribuito al progresso della scienza) e una volta concluso l’esperimento, sarebbe troppo alto il rischio che qualche cavia racconti tutto al bar dopo aver bevuto troppo scotch.
Qualcuno, proprio perché ubriaco fradicio, potrebbe esser preso sul serio.
Più di quanto sarei preso sul serio io.
Vi aggiornerò nella prossima lettera, mia cara. Spero di fornirVi finalmente dettagli più precisi.
Con affetto
Vostro
AE